Wolff e Spinoza: recensione
Importanza e limiti dell’esegesi Wolffiana di Spinoza
Spinoza è punto di riferimento imprescindibile nel panorama filosofico moderno e contemporaneo e inesauribile fonte di ispirazione. L’ultimo volume di Steven Nadler, Un libro forgiato all’inferno, è ancora la storia di un libro dannato, il Trattato Teologico-politico, che tanto ha appassionato e che si rivela sempre straordinariamente attuale. Anche altre opere dell’autore andrebbero interpretate o re-interpretate per cogliere le sempre nuove connessioni, i contesti, le influenze. Da questo punto di vista prezioso appare il libro di Federica De Felice Wolff e Spinoza (Aracne editrice) che con grande chiarezza espositiva e uguale rigore analitico colma – come sostiene la stessa Autrice – un episodio della recezione dello spinozismo piuttosto trascurato, quello costituito dalla critica wolffiana. Opportunamente il libro riempie questo vuoto facendo nel contempo chiarezza su Aufklärung e spinozismo, questione che ritorna ad essere ultimamente molto dibattuta nella storia dell’illuminismo tedesco e dell’illuminismo in generale.
Si sostiene nella letteratura filosofica, e a ragione, che la Germania è il paese dove lo spinozismo ha avuto durante il Settecento la sua maggiore diffusione e, almeno a partire dagli anni Quaranta, come anche l’Autrice sostiene, le opere di Spinoza non furono più un testo “clandestino”, come lo erano state per lungo tempo. Fu però uno spinozismo spesso incline, nella componente più radicale, ad esiti materialistici ed atei, ed orientato ad un’esplicita critica dell’assetto feudale-cristiano degli stati tedeschi: come l’Italia anche la Germania era al tempo priva di unità politica. Era, quella componente, costituita da un’esigua minoranza di intellettuali, estranei agli ambienti universitari e destinata ad essere sopraffatta dalla cultura dominante e dalle posizioni più moderate dell’Aufklärung che fu un movimento del tutto singolare nel panorama culturale del Settecento europeo. Differente da quello francese e inglese, l’illuminismo tedesco porta dal punto di vista teoretico il “gene” metafisico e logico di Leibniz, oltre a diverse e spesso contraddittorie tendenze: il misticismo pietista e la ricerca di un compromesso tra pregiudiziali religiose e metafisico-teologiche da un lato, ed emancipazione razionale dell’uomo dall’altro.
Anche questo spiega perché la filosofia spinoziana, o meglio quella parte della filosofia spinoziana che in Germania allora si approfondiva, prima di Wolff, fosse da una parte osteggiata e fraintesa in termini di fatalismo, ateismo, panteismo, dall’altra smembrata e utilizzata come critica religiosa, ermeneutica biblica, teoria politica nella lotta ideologica del tempo. La rigorosa impostazione storico-critica del lavoro approfondisce molto bene questi nessi così come la controversia tra Wolff e i teologi pietisti, alla cui analisi l’Autrice dedica molto spazio, e giustamente, perché il pietismo fu fenomeno di grande rilevanza, tanto che non si può trascurare di parlarne al momento di iniziare lo studio della cultura filosofica tedesca moderna.
Il pietismo amava rifarsi così ai testi della grande mistica tedesca del Trecento, come alla devotio moderna o alla mistica di matrice luterana. Ben si mette in evidenza che il rapporto intercorso tra pietismo e coeva cultura illuministica fu rapporto in se stesso ambiguo e contraddittorio, e non potevano mancare momenti di collisione e scontro tra fideismo pietistico ed orientamenti all’esercizio autonomo della ragione; l’episodio dell’allontanamento di Wolff dall’università di Halle – centro principale del pietismo – per disposizione di Federico Guglielmo I, in seguito alle pressanti richieste di Francke e di altri suoi colleghi, ne è testimonianza. L’ostilità che ad Halle doveva montare contro l’insegnamento wolffiano, accusato di propagandare il determinismo ateo di Spinoza, aveva toccato il culmine nel 1721, allorché Wolff tenne una lezione sulla filosofia pratica dei cinesi in cui si esprimeva un alto apprezzamento per la saggezza di Confucio posta accanto, nonostante la sua qualità puramente umana, a quella di Cristo.
Wolff fu uno dei maggiori rappresentanti dell’illuminismo tedesco ed edificò un vasto sistema filosofico d’impianto metafisico-teologico ispirato a Leibniz, sulla base di una metodologia rigorosamente razionale che si fondava esclusivamente sul principio di non-contraddizione e si ispirava ai principi illuministici dell’autonomia e della onnicomprensività della ragione. Notevole fu, tra l’altro, il rilievo che ebbe nella storia del linguaggio e della nomenclatura filosofica.
Dell’interpretazione dello spinozismo prima di Wolff, e che lo influenzarono, l’Autrice sottolinea gli apporti di Bayle, Tschirnhaus, Leibniz.
La critica bayleiana dello spinozismo contenuta nel celebre articolo del Dictionnaire, è condotta da un punto di vista più estetico-morale che logico; diverso l’approccio allo spinozismo di Tschirnhaus con il quale Wolff ha un significativo rapporto epistolare. Dei quesiti che egli rivolge a Spinoza emergono alcune delle problematiche del sistema spinoziano quali la derivazione del molteplice dalla sostanza unica, il rapporto finito-infinito, poi riprese e sviluppate dallo stesso Wolff. Soprattutto interessante però appare il riferimento a Leibniz. Fu infatti lo studio della filosofia leibniziana e la consuetudine con il grande filosofo tedesco, con il quale intrattenne per diversi anni una costante corrispondenza epistolare, a convincerlo dell’importanza dei procedimenti logici della ragione. Leibniz, incapace di cogliere la profonda rottura semantica ed epistemologica operata da Spinoza nei confronti della metafisica occidentale, considererà sempre Spinoza un “cartesiano”.
Nel libro si sostiene che all’inizio del Settecento l’approccio a Spinoza fu sbagliato; si deve per la prima volta proprio a Wolff un’analisi condotta con rigore metodologico, priva di quell’acribia interpretativa e pregiudiziale al limite dell’offesa e dell’invettiva che avevano fino allora caratterizzato l’approccio al pensiero del filosofo olandese. La dottrina spinoziana va condannata per Wolff non perché “atea”, bensì perché insufficiente risulta il rigore delle sue definizioni e del suo deduttivismo filosofico, dunque va respinta non perché pericolosa, ma perché filosoficamente falsa. In altri termini mira a scardinare le basi teoretiche di quel sistema.
Il lavoro si incentra sull’interpretazione wolffiana della Parte I dell’Ethica di Spinoza nella Theologia naturalis II. Sappiamo che l’Ethica si apre con una serie di definizioni destinate a dire Dio, ossia la sostanza infinita, i suoi attributi, e le cose finite come sue affezioni; esse costituiscono il reticolo concettuale su cui si fonda l’intero sistema filosofico spinoziano. Si mette in evidenza nel libro che il filosofo critica l’unicità della sostanza considerandola costruita sulla filosofia cartesiana, in questo riprendendo Leibniz. Wolff inoltre rimprovera a Spinoza di ammettere incondizionatamente la validità del “criterio di verità” cartesiano. Alla critica delle definizioni della Parte I dell’Ethica (opera distribuita in cinque parti), segue la critica dei concetti chiave che dipendono dalle definizioni “incriminate” e che risultano anch’esse scorrette e fonte di errore. Più precisamente menziona sei delle otto definizioni dell’Ethica (Dio-attributo-sostanza-causa sui-modo-finito) mentre omette quelle in cui tratta di libertà ed eternità, e già questo pone numerosi problemi interpretativi.
Strano destino quello che accomuna Wolff e Jacobi nella polemica contro lo spinozismo. L’Autrice individua tutti gli elementi che permettono di cogliere allo studioso l’analogia. Anche il filosofo di Düsseldorf, qualche tempo dopo, avrebbe portato una radicale critica della filosofia spinoziana che non fu in verità solo di ordine filosofico-religioso, ma atteneva pure a ragioni di ordine ideologico e politico. Paradossalmente però l’esposizione che veniva fatta del pensiero spinoziano ne metteva così bene in luce tutto il rigore di filosofia compiutamente razionale da suscitare una vera e propria “Spinoza-Renaissance”. Per entrambi comunque lo spinozismo è ateismo che sostituisce alla libertà il fatalismo più inesorabile.
Va sottolineato che Wolff recupera il pensiero scolastico-cristiano e in particolare il tema tomistico dell’analogia entis che gli consente di fondare la pretesa della ragione di estendere la propria competenza alla totalità del reale; essa lo può in forza appunto del rapporto di analogia che ha con la ragione divina. L’Autrice individua il limite dell’interpretazione wolffiana di Spinoza nell’aver voluto confutare la dottrina di Spinoza a partire dalle proprie nozioni che, seppur nominalmente identiche, risultano completamente diverse da un punto di vista semantico.
Non meno interessante è la questione del fatalismo universale che per l’Autrice costituisce un punto fondamentale della battaglia di Wolff contro Spinoza, ed è ciò che meglio caratterizza l’atteggiamento complessivo che durante tutta la sua vita il filosofo di Breslavia assunse nei confronti del filosofo di Amsterdam. La caratterizzazione dello spinozismo come mero fatalismo deriva da una confusione tra fatalismo e determinismo. Alla domanda se Wolff abbia reso giustizia a Spinoza e se lo abbia veramente compreso, l’Autrice risponde negativamente. Se abbia poi tenuto lontano da sé l’accusa di spinozismo è questione alla quale – ribadisce – è più difficile dare una risposta; nel tentativo di cercare leibnizianamente un compromesso tra determinismo e finalismo, necessità e libero arbitrio, la sua filosofia risulta impregnata, se pure in forma edulcorata e forse inconsapevole, di spinozismo e poco importa se Wolff sostiene che lo spinozismo non solo non differisce tanto dall’ateismo, ma è addirittura più nocivo di esso, in quanto rende privi di senso i dettami stessi della morale e della società.
In Appendice vengono opportunamente riportati i paragrafi tradotti della Theologia naturalis con il testo originale a fronte.
Come ogni opera fertile lo scritto pone, a sua volta, numerose domande e sollecita ulteriori approfondimenti, e da sottolineare è pure il notevole apparato di note e la ricca bibliografia.
di Federica De Felice
Aracne Editrice, 2008
ISBN 978-8854815964
360 pagg., 19 Euro
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