Storie di libri: la circolazione europea di Spinoza e dei free-thinkers durante l’aufklärung
Ringraziamo la rivista Direonline (periodico del Dipartimento di Ricerche Europee dell’Università degli Studi di Genova) che ha concesso la riproduzione di questo testo integralmente sul nostro blog.
Storie di libri: la circolazione europea di Spinoza
e dei free-thinkers durante l’aufklärung
e dei free-thinkers durante l’aufklärung
di Davide Arecco
Tra le figure meno note del Settecento tedesco vi è senz’altro quella di Johann Salomo Semler (1725-1791), autore nella cui riflessione si intrecciarono i diversi piani della religiosità illuminista e della filosofia, della teologia riformata e della ricerca storica. Oltre ad indagare a fondo vita ed opere del pensatore luterano, l’ultima fatica di Roberto Bordoli (L’Illuminismo di Dio alle origini della mentalità liberale, Firenze, Leo S. Olschki, 2004) si presenta come un contributo assai prezioso allo studio delle fonti politiche, cartesiane e più di tutto spinoziane dei Lumi tedeschi, gettando in particolare una nuova luce sulla diffusione in Europa ed in Germania del panteismo olandese. Quest’ultimo, veicolato attraverso scritti dalla forte coloritura libertina e deistica, fu il frutto intellettuale maggiore dei Paesi Bassi, nell’epoca aurea della loro storia (J.I. ISRAEL, The Dutch Republic and the Hispanic World 1606-1661, Oxford, Oxford University Press, 1982; J.I. ISRAEL, Dutch primacy in the world trade 1585-1740, Oxford, Oxford University Press, 1989; J.I. ISRAEL, The Dutch Republic. Its Rise, Greatness and Fall 1477-1806, Oxford, Oxford University Press, 1995). Il poderoso libro di Bordoli si apre suggestivamente, ricostruendo, dati alla mano, lo sfondo biografico ed ambientale in cui il biblista di Halle venne al mondo e morì. E’ una Prussia, la sua, vista dall’Europa, contestualizzata e riletta alla luce del tipico cosmopolitismo settecentesco, tollerante e sovranazionale. Insieme al Semler, l’Autore ci restituisce il suo tempo, il vivo dei dibattiti sull’interpretazione liberale e storico-filologica delle Scritture. Il Semler di queste pagine è qualcosa di più di un semplice controversista. Oltrepassando deciso il letteralismo scritturale, il canonista tedesco contribuì a fondare la moderna ermeneutica come scienza biblica, conciliando nel suo razionalismo moderato (se non conservatore) fede e sapere. Senza più timore verso la tradizione, la filosofia si fa in Semler interprete della Sacra Scrittura. Forte fu, in proposito, l’influenza di Baumgarten, ma soprattutto quella esercitata dal nuovo metodo delle scienze storiche messo a punto sul finire del Seicento da Jean Le Clerc e Richard Simon. Personaggi cruciali, la cui presenza dice molto sulla circolazione europea di uomini e idee, sullo scambio culturale tra aree politico-geografiche e socio-istituzionali altrimenti diverse e lontane. Più newtoniano fu Le Clerc, mentre il Simon condensò la propria rivoluzionaria proposta nelle due storie critiche del testo e delle versioni del Nuovo Testamento. Alla fortuna del Simon in Germania, Bordoli dedica una ricca e stimolante sezione, tracciando percorsi sinora poco esplorati e passando, quindi, a studiare le polemiche anche aspre sulla libertà cristiana, che videro coinvolti nel corso del XVIII secolo stati tedeschi, chiesa protestante e realtà universitaria. Le dispute giuridiche sui diritti dell’individuo, la religione universale di Lessing e Reimarus (con il loro utopico ideale di un continuo perfezionamento dell’umanità), finirono per segnare una fase di crisi dell’Aufklärung teologica. La teoria medievale della doppia verità (sottoposta adesso alla prova dell’opinione pubblica colta), le discussioni (sempre piuttosto accese) su immortalità dell’anima e trinitarismo, i discorsi sull’essenza del giudaismo e su quella del cristianesimo, i problemi legati ai miracoli e alla letteratura profetica (tema quest’ultimo riguardante il ruolo storico dello stesso millenarismo): questi gli spinosi argomenti oggetto d’esame critico. Affrontare tali temi era anche un modo, agli occhi e di Semler e della sua generazione, per salvare – contro la miseria e il dispotismo dei dogmi – l’eredità leibniziana e dare inoltre una risposta alla teosofia di Lavater e dei suoi seguaci, indicata da Bordoli tra le fonti ‘occulte’ degli stessi Lumi germanici. Soprattutto nel microcosmo delle logge massoniche, infatti, ermetismo ed alchimia, stante il collante rosa-crociano, non avevano mai cessato di perpetuarsi e fare proseliti. Secondo Semler, la filologia doveva servire alla religione per contrastare fanatismo e superstizione, sino al raggiungimento della verità storica. Un’etica rigorosa e severa, che comportò una radicale riformulazione dell’intera demonologia elaborata in passato.
Quanta parte ebbero Spinoza ed i liberi pensatori inglesi in questo complesso ed articolato processo di ridefinizione concettuale? E’ quanto il saggio di Bordoli non ha mancato di chiedersi, fornendo una risposta convincente che attiene, in modo ancora più diretto, allo scopo di questa rassegna. Il quesito trova soluzione se si pone mente non solo e non tanto ai codici (a stampa e manoscritti) dei filosofi in questione, ma al loro universo di letture. La preparazione dottrinaria di Semler e degli illuministi prussiani presuppone una certa indubbia erudizione, una conoscenza approfondita delle maggiori opere antiche e moderne. In proposito, le «Nachrichten von einer Hallischen Bibliothek» (1748-1751) esprimevano un importante aspetto della diffusa tendenza ad avvalersi di librerie ben fornite. Esse erano di fatti una preziosa raccolta di esaurienti schede sui testi che un buon Gelehrte doveva possedere, un repertorio critico della migliore parte della cultura (storica, filosofica, teologica e filologica) di età moderna. Il fine dell’impresa editoriale baumgartiana era di segno più enciclopedico che giornalistico. Informare sulle uscite più recenti, ma soprattutto rendere disponibili nei loro contenuti essenziali gli scritti dei novi philosophi: questi gli autentici scopi della Biblioteca. L’attenzione era volta da Baumgarten e dai suoi collaboratori non alle opere di moda all’epoca, bensì a quelle più eterodosse e in grado di promuovere un effettivo avanzamento del sapere. Si spiega pertanto così la presenza di Spinoza e degli ateisti nederlandesi (Brendenburg, Cuperus, Cuffeler, Colerus), di Erasmo, Hus e Woolston. Quanto a Spinoza, si parla in dettaglio dei Principia, del Tractatus theologico-politicus (nelle sue versioni francese e latina), della confutazione wolffiana dell’Ethica e del Trattato politico (di quest’ultimo è stata ristampata la traduzione italiana, a cura di P. CRISTOFOLINI, Pisa, Edizioni ETS, 2004). Alla segnalazione di questi libri si aggiunse quella delle opere di Dippel, degli autori cristiani non confessionali o eterocliti (Agrippa), di Bodin e del nostro Paolo Sarpi. E veniamo all’Olanda: varie edizioni di Hobbes, scritti di Brenius, dei sociniani, la celebre Philosophia Sanctae Scripturae di Lodewijk Meyer (1629-1681), il fondatore dell’associazione «Nil volentibus arduum» e l’alfiere del repubblicanesimo nederlandese seicentesco, sul quale il medesimo Bordoli si è già diffuso (R. BORDOLI, Ragione e scrittura tra Descartes e Spinoza, Milano 1997; R. BORDOLI, Etica, arte e scienza tra Descartes e Spinoza, Milano 2001). Quindi gli arminiani, Sandius e – tra i britannici – le recensioni a numerose opere di argomento ebraico e di storia ecclesiastica (tra gli altri di Chubb, Chandler e Morgan), senza dimenticare le sillogi di Burman e il filone sempre vivo della magia rinascimentale. Semler si formò su questi libri, lesse le antichità sacre e profane (Erodoto, ad esempio). Gli anonimi estensori della «Nachrichten von einer Hallischen Bibliothek» rimandano a Lilienthal e Niceron, attestando la penetrazione capillare e sistematica della cultura anglo-olandese in Germania – e segnatamente nella Halle di Semler – nel corso del primo Settecento. Di Spinoza e del suo entourage, degli erastiani e dei free-thinkers d’Olanda e di Oltremanica, così come di Thomas Hobbes (Q. SKINNER, Reason and Rhetoric in the Philosophy of Hobbes, Cambridge, Cambridge University Press, 1996), si conosceva quasi la totalità delle opere. Chi sfogliava le «Nachrichten», Semler o chi per lui, poteva in altre parole prendere coscienza di una parte significativa della produzione intellettuale dei circoli umanistici nederlandesi e tedeschi. Presso questi ultimi, aggiornatissimi e molto attenti, si discorreva anche di un altro grande provocatore anglofono: Bernard Mandeville, del quale è recentemente apparsa una eccellente antologia (B. MANDEVILLE, Sociabilità. Vizi privati, benefici pubblici, scritti scelti a cura di D. FRANCESCONI, Macerata, Liberilibri, 2004).
Nato a Dordrecht nel 1670, e scomparso a Londra nel 1733, dopo avere studiato medicina nella nativa Olanda, Mandeville si trasferì in Inghilterra, dove divenne presto uno dei più significativi scrittori politici di lingua inglese. Verseggiatore, autore nella prima metà del secolo diciottesimo di favole di impronta esopica, saggista e teorico dell’ipocondria, egli conseguì celebrità europea – una celebrità contrassegnata spesso dai toni di una sdegnata condanna morale – grazie alla notissima Fable of the Bees. La sua opera politica ebbe una stesura tormentata e fu pubblicata dall’Autore in tre diversi momenti – nel 1714, nel 1723 e nel 1728 – facendone poi seguire una Inquiry into the Origin of Honour and the Usefulness of Christianity in War, del 1732. Nella favola delle api, circolante anche presso quegli Aufklärer tedeschi raccolti attorno a Semler e al suo gruppo, prendeva esemplarmente forma l’oscillazione tra impianto satirico e argomentazione teorica, il vero tratto saliente della riflessione mandevilliana. Le questioni inerenti la funzione delle passioni, dei vizi e del lusso nella vita sociale e politico-economica furono affrontate da Mandeville con un gusto del paradosso e una spregiudicatezza nell’analisi che hanno lasciato un segno davvero indelebile nel cammino delle scienze sociali. Nella sua veloce ma densa introduzione, il curatore spiega come, per Mandeville, orgoglio, cupidigia, vanità e amor proprio – ossia tutti quei tratti caratteristici dell’animo umano, considerati universalmente alla stregua di vizi privati, condannati da ogni credenza religiosa – potessero al contrario trasformarsi in pubblici benefici. Non vi è alcuna traccia di altruismo negli individui, a spingerli in società è tuttavia un bisogno che le loro stesse passioni hanno prodotto. Questo è l’arcano della sociabilità che Mandeville intendeva svelare ai lettori. In tale modo, egli pose le basi per una scienza della natura umana atta a cogliere e legittimare il nesso esistente tra egoismo e vita associata, tra interesse personale e prosperità collettiva. Si tratta, nel suo insieme, di una welthanschauung della quale furono debitori Voltaire, Hume e Adam Smith, di una visione destinata a influenzare in profondità tanto l’Illuminismo europeo quanto il dibattito novecentesco (Von Hayek). Questa raccolta presenta traduzioni nuove e testi inediti in italiano – come la risposta, condensata sulle colonne del Famale Tatler (1709-1710), al modello oraziano e neo-classico di virtù, additato da Addison e da Steele sulla scia di Shaftesbury – documentando inoltre l’evoluzione trentennale dell’idea mandevilliana di sociableness, dalla sua prima intuizione espressa in forma burlesca (1705) sino alla risistemazione degli ultimi dialoghi. In altri contributi (D. FRANCESCONI, Mandeville sull’origine della società, in «Il pensiero politico», XXVIII, 1995, pp. 407-433; D. FRANCESCONI, Bernard Mandeville e il linguaggio della politeness, in «La cultura», II, 1998, pp. 263-300), lo stesso curatore ha ricostruito il debito mandevilliano verso la filosofia francofona del secondo Seicento (Gassendi, Bayle) e in particolare nei confronti della tradizione epicurea moderna e del libertinage érudit (La Rochefoucauld, Nicole, La Bruyère, Saint-Evremond). Con i grandi moralisti francesi di epoca barocca, Mandeville condivise la teoria delle passioni e le idee circa lo stato di natura, le opinioni sull’origine di linguaggio e raffinatezze ed il relativismo etico. Proprio nel convenzionalismo morale va visto il debito maggiore verso le fonti francesi del suo pensiero. Un pensiero dilemmatico e controverso, ambiguo come forse solo il Leviatano aveva saputo essere in precedenza. Né va dimenticata l’incidenza di Mandeville sulla teoria stadiale della storia (sostenuta in seguito dagli Scottish philosophers), quale filtra dalle pagine da lui dedicate a tratteggiare, per via congetturale, una storia della moderna società commerciale. Il punto di riferimento, nemmeno a dirlo, era l’Inghilterra augustea uscita dalla Gloriosa. Eppure, l’Autore della Fable sfugge, a ben guardare, alle rigide distinzioni in whigs e tories, rimanendo, prima di tutto, uno scrittore libero ed indipendente. Il suo radicalismo, come quello rimasto legato al nome di Spinoza, fece tra Sei e Settecento il giro dell’Europa. Da Londra alle città tedesche, passando per l’Olanda: tali furono le vie percorse da una ragione nuova e dai libri che ne racchiudevano il messaggio.
Quanta parte ebbero Spinoza ed i liberi pensatori inglesi in questo complesso ed articolato processo di ridefinizione concettuale? E’ quanto il saggio di Bordoli non ha mancato di chiedersi, fornendo una risposta convincente che attiene, in modo ancora più diretto, allo scopo di questa rassegna. Il quesito trova soluzione se si pone mente non solo e non tanto ai codici (a stampa e manoscritti) dei filosofi in questione, ma al loro universo di letture. La preparazione dottrinaria di Semler e degli illuministi prussiani presuppone una certa indubbia erudizione, una conoscenza approfondita delle maggiori opere antiche e moderne. In proposito, le «Nachrichten von einer Hallischen Bibliothek» (1748-1751) esprimevano un importante aspetto della diffusa tendenza ad avvalersi di librerie ben fornite. Esse erano di fatti una preziosa raccolta di esaurienti schede sui testi che un buon Gelehrte doveva possedere, un repertorio critico della migliore parte della cultura (storica, filosofica, teologica e filologica) di età moderna. Il fine dell’impresa editoriale baumgartiana era di segno più enciclopedico che giornalistico. Informare sulle uscite più recenti, ma soprattutto rendere disponibili nei loro contenuti essenziali gli scritti dei novi philosophi: questi gli autentici scopi della Biblioteca. L’attenzione era volta da Baumgarten e dai suoi collaboratori non alle opere di moda all’epoca, bensì a quelle più eterodosse e in grado di promuovere un effettivo avanzamento del sapere. Si spiega pertanto così la presenza di Spinoza e degli ateisti nederlandesi (Brendenburg, Cuperus, Cuffeler, Colerus), di Erasmo, Hus e Woolston. Quanto a Spinoza, si parla in dettaglio dei Principia, del Tractatus theologico-politicus (nelle sue versioni francese e latina), della confutazione wolffiana dell’Ethica e del Trattato politico (di quest’ultimo è stata ristampata la traduzione italiana, a cura di P. CRISTOFOLINI, Pisa, Edizioni ETS, 2004). Alla segnalazione di questi libri si aggiunse quella delle opere di Dippel, degli autori cristiani non confessionali o eterocliti (Agrippa), di Bodin e del nostro Paolo Sarpi. E veniamo all’Olanda: varie edizioni di Hobbes, scritti di Brenius, dei sociniani, la celebre Philosophia Sanctae Scripturae di Lodewijk Meyer (1629-1681), il fondatore dell’associazione «Nil volentibus arduum» e l’alfiere del repubblicanesimo nederlandese seicentesco, sul quale il medesimo Bordoli si è già diffuso (R. BORDOLI, Ragione e scrittura tra Descartes e Spinoza, Milano 1997; R. BORDOLI, Etica, arte e scienza tra Descartes e Spinoza, Milano 2001). Quindi gli arminiani, Sandius e – tra i britannici – le recensioni a numerose opere di argomento ebraico e di storia ecclesiastica (tra gli altri di Chubb, Chandler e Morgan), senza dimenticare le sillogi di Burman e il filone sempre vivo della magia rinascimentale. Semler si formò su questi libri, lesse le antichità sacre e profane (Erodoto, ad esempio). Gli anonimi estensori della «Nachrichten von einer Hallischen Bibliothek» rimandano a Lilienthal e Niceron, attestando la penetrazione capillare e sistematica della cultura anglo-olandese in Germania – e segnatamente nella Halle di Semler – nel corso del primo Settecento. Di Spinoza e del suo entourage, degli erastiani e dei free-thinkers d’Olanda e di Oltremanica, così come di Thomas Hobbes (Q. SKINNER, Reason and Rhetoric in the Philosophy of Hobbes, Cambridge, Cambridge University Press, 1996), si conosceva quasi la totalità delle opere. Chi sfogliava le «Nachrichten», Semler o chi per lui, poteva in altre parole prendere coscienza di una parte significativa della produzione intellettuale dei circoli umanistici nederlandesi e tedeschi. Presso questi ultimi, aggiornatissimi e molto attenti, si discorreva anche di un altro grande provocatore anglofono: Bernard Mandeville, del quale è recentemente apparsa una eccellente antologia (B. MANDEVILLE, Sociabilità. Vizi privati, benefici pubblici, scritti scelti a cura di D. FRANCESCONI, Macerata, Liberilibri, 2004).
Nato a Dordrecht nel 1670, e scomparso a Londra nel 1733, dopo avere studiato medicina nella nativa Olanda, Mandeville si trasferì in Inghilterra, dove divenne presto uno dei più significativi scrittori politici di lingua inglese. Verseggiatore, autore nella prima metà del secolo diciottesimo di favole di impronta esopica, saggista e teorico dell’ipocondria, egli conseguì celebrità europea – una celebrità contrassegnata spesso dai toni di una sdegnata condanna morale – grazie alla notissima Fable of the Bees. La sua opera politica ebbe una stesura tormentata e fu pubblicata dall’Autore in tre diversi momenti – nel 1714, nel 1723 e nel 1728 – facendone poi seguire una Inquiry into the Origin of Honour and the Usefulness of Christianity in War, del 1732. Nella favola delle api, circolante anche presso quegli Aufklärer tedeschi raccolti attorno a Semler e al suo gruppo, prendeva esemplarmente forma l’oscillazione tra impianto satirico e argomentazione teorica, il vero tratto saliente della riflessione mandevilliana. Le questioni inerenti la funzione delle passioni, dei vizi e del lusso nella vita sociale e politico-economica furono affrontate da Mandeville con un gusto del paradosso e una spregiudicatezza nell’analisi che hanno lasciato un segno davvero indelebile nel cammino delle scienze sociali. Nella sua veloce ma densa introduzione, il curatore spiega come, per Mandeville, orgoglio, cupidigia, vanità e amor proprio – ossia tutti quei tratti caratteristici dell’animo umano, considerati universalmente alla stregua di vizi privati, condannati da ogni credenza religiosa – potessero al contrario trasformarsi in pubblici benefici. Non vi è alcuna traccia di altruismo negli individui, a spingerli in società è tuttavia un bisogno che le loro stesse passioni hanno prodotto. Questo è l’arcano della sociabilità che Mandeville intendeva svelare ai lettori. In tale modo, egli pose le basi per una scienza della natura umana atta a cogliere e legittimare il nesso esistente tra egoismo e vita associata, tra interesse personale e prosperità collettiva. Si tratta, nel suo insieme, di una welthanschauung della quale furono debitori Voltaire, Hume e Adam Smith, di una visione destinata a influenzare in profondità tanto l’Illuminismo europeo quanto il dibattito novecentesco (Von Hayek). Questa raccolta presenta traduzioni nuove e testi inediti in italiano – come la risposta, condensata sulle colonne del Famale Tatler (1709-1710), al modello oraziano e neo-classico di virtù, additato da Addison e da Steele sulla scia di Shaftesbury – documentando inoltre l’evoluzione trentennale dell’idea mandevilliana di sociableness, dalla sua prima intuizione espressa in forma burlesca (1705) sino alla risistemazione degli ultimi dialoghi. In altri contributi (D. FRANCESCONI, Mandeville sull’origine della società, in «Il pensiero politico», XXVIII, 1995, pp. 407-433; D. FRANCESCONI, Bernard Mandeville e il linguaggio della politeness, in «La cultura», II, 1998, pp. 263-300), lo stesso curatore ha ricostruito il debito mandevilliano verso la filosofia francofona del secondo Seicento (Gassendi, Bayle) e in particolare nei confronti della tradizione epicurea moderna e del libertinage érudit (La Rochefoucauld, Nicole, La Bruyère, Saint-Evremond). Con i grandi moralisti francesi di epoca barocca, Mandeville condivise la teoria delle passioni e le idee circa lo stato di natura, le opinioni sull’origine di linguaggio e raffinatezze ed il relativismo etico. Proprio nel convenzionalismo morale va visto il debito maggiore verso le fonti francesi del suo pensiero. Un pensiero dilemmatico e controverso, ambiguo come forse solo il Leviatano aveva saputo essere in precedenza. Né va dimenticata l’incidenza di Mandeville sulla teoria stadiale della storia (sostenuta in seguito dagli Scottish philosophers), quale filtra dalle pagine da lui dedicate a tratteggiare, per via congetturale, una storia della moderna società commerciale. Il punto di riferimento, nemmeno a dirlo, era l’Inghilterra augustea uscita dalla Gloriosa. Eppure, l’Autore della Fable sfugge, a ben guardare, alle rigide distinzioni in whigs e tories, rimanendo, prima di tutto, uno scrittore libero ed indipendente. Il suo radicalismo, come quello rimasto legato al nome di Spinoza, fece tra Sei e Settecento il giro dell’Europa. Da Londra alle città tedesche, passando per l’Olanda: tali furono le vie percorse da una ragione nuova e dai libri che ne racchiudevano il messaggio.
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La riproduzione è stata consentita dietro autorizzazione della rivista e comunque è vietata anche la riproduzione parziale senza autorizzazione della rivista stessa inclusa quella prelevata da questo stesso sito.
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Si ringrazia Emanuela Fratoni.
(Autorizzazione Trib. di Genova n.16/2003, direttore Maria Grazia Bottaro Palumbo, direttore responsabile Mario Bottaro)
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Comments (1)
Lux
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La struttura della “Metafisica tedesca” di Wolff è molto simile all’Ethica spinoziana in quanto ogni proposizione è legata alla precedente e, nella definizione di molti dei concetti anche espressi da Spinoza è presente secondo me una similitudine. Ovviamente Wolff è più legato alla critica kantiana che non alla metafisica spinoziana e da qui nasce la sua opposizione a Spinoza.
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