Recensione: Le lacrime di Spinoza, romanzo
L’espediente narrativo a cui ricorre Gianfranco Pavone nel suo belissimo “Le lacrime di Spinoza” (Di Nicolò edizioni, 2015) è quello del ritrovamento di un manoscritto nientemeno che di Johannes Casearius, famoso per essere stato un discepolo del Filosofo olandese verso gli anni attorno al 1661-1663. Il luogo del racconto è Rijnsburg dove Spinoza si trasferì nel 1661 e visse in quegli anni ed ospitò Casearius come suo allievo. Sappiamo dall’epistola 9 che Spinoza non volesse che questo giovane, di dieci anni più giovane di lui, conoscesse ancora il suo pensiero come lo conoscevano i suoi fidati amici poiché lo giudicava “troppo ragazzo, poco fermo nelle proprie opinioni, amante più della novità che della verità” anche se, proseguendo, si diceva certo che crescendo avrebbe corretto questi “difetti giovanili” e questo era il motivo per cui gli voleva bene nonostante però si guardasse da lui. Siamo negli anni in cui Spinoza ha terminato e pubblica i “Principi della filosofia di Descartes” e le “Meditazioni metafisiche” e sembra che abbia direttamente letto tutta l’opera proprio allo stesso Casearius come esposto nell’epistola 13 (secondo Mignini il testo latino dice “dictaverunt”, ho dettato, ma il testo nederlandese scrive “voorgelezen had”, cioè “ho letto ad alta voce”, vedi “Introduzione a Spinoza“). Già verso la fine del 1661 Spinoza pensava ad un’opera ulteriore, uno sviluppo nuovo della sua filosofia che si discostasse da quella di Cartesio e nel romanzo assistiamo proprio ad alcuni dei momenti in cui egli, accompagnato da Johannes, parla con gli abitanti del luogo e approfondisce alcune delle tematiche che diventeranno un fulcro del suo pensiero. Il racconto si svolge in prima persona raccontato proprio da Casearius. Questi condivide, nel romanzo, un fatto che avrebbe provocato in tutti gli abitanti del borgo grande sconcerto e tristezza: la vita di due giovanissimi fratelli gemelli, orfani dei genitori, e che vivevano di furtarelli e espedienti. Essi saranno al centro delle riflessioni che Spinoza fa riguardo la speranza e il timore, la ragione e l’immaginazione. Dopo un incidente ai fratellini, Spinoza, accompagnato dal fornaio di Rijnsburg, ascolta le parole sulla vita e sulla morte di questi e si incammina verso la riflessione più matura delle proprie idee. Gianfranco Pavone illustra con dolcezza l’idea dello Spinoza umano, descritto dal giovane Johannes, attraverso i suoi discorsi con i personaggi chiave del romanzo: il fornaio, il macellaio, l’ebanista ma anche la figlia del fornaio o lo stesso Casearius al quale non lesina insegnamenti di grande saggezza. Ad un certo punto Johannes narra dell’incontro di Spinoza con Pieter Balling, grande amico del filosofo con il quale si intrattiene discutendo dei temi cari al Filosofo e scuotendo l’animo del giovane, il quale ancora non capisce la profondità dell’iniziale pensiero spinoziano ed anzi, sebbene abbia fame di sapienza, non riesce a comprendere appieno le tesi di Spinoza. Sappiamo che Casearius si allontanò da Spinoza verso la metà del 1663 per iniziare la carriera ecclesiastica e che si trasferì nelle Indie Orientali, morendo a Batavia nel 1677, nello stesso anno della morte del Filosofo. Saranno proprio le lacrime di Spinoza a farci capire, nel romanzo, che non esiste solo un freddo razionalista ma anzi un uomo vero dietro l’enormità del suo pensiero.
Tags: casearius, gianfranco pavone, rijnsburg, Spinoza
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