Recensione: “La via alla felicità”
Recensione del libro di Steven Nadler, La via alla felicità. L’Etica di Spinoza nella cultura del Seicento, tr. it. di E. Andri, Hoepli, Milano 2018, 285 pp. di Alessio Lembo
La via alla felicita è la traduzione di Spinoza’s Ethics. An introduction (Cambridge University Press, 2006) di Steven Nadler, docente presso la University of Wisconsin-Madison, studioso del pensiero spinoziano e della Early Modern Philosophy, del quale è già disponibile un’ampia bibliografia in italiano. Già nella Prefazione, l’autore dichiara come il testo sia stato concepito «principalmente per il lettore che si accosta all’Etica per la prima volta», intento che risulta più esplicito nel titolo originale, proponendosi tuttavia di essere utile anche per «ricercatori navigati» (p. XIV). Partendo da una rapida analisi dell’indice, si può notare come la trattazione sia leggermente disomogenea: i primi due capitoli, più introduttivi, trattano della biografia di Spinoza e del metodo geometrico; seguono due capitoli sulla prima parte e due sulla seconda, mentre gli ultimi tre sono dedicati alle restanti parti dell’opera. Bisogna tuttavia sottolineare come l’autore abbia concepito la sua ‘introduzione’ da un punto di vista tematico, privilegiando le parti che riteneva essere più problematiche: la metafisica e la gnoseologia. Il primo capitolo, Vita e opere di Spinoza (pp. 1-31), è in linea sia con l’intento divulgativo annunciato dall’autore sia con la generale impostazione nadleriana che tende a dare gran risalto al contesto storico (cfr. Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento; L’eresia di Spinoza; Un libro forgiato all’Inferno); queste pagine possono essere utili per un lettore agli esordi, ma certamente non per quello più navigato, specialmente se ha già avuto occasione di confrontarsi con Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento. Il secondo capitolo, Il metodo geometrico (pp. 33-48), risulta senz’altro più interessante per ogni tipo di lettore, dal momento che affronta analiticamente la funzione degli elementi che costituiscono la struttura formale dell’Etica (definizioni, assiomi, proposizioni e scolii), così importante nella comprensione del testo. Trattando del grande progetto di Descartes, il «mentore intellettuale» (p. 35) di Spinoza, di far raggiungere alla filosofia «un grado di precisione e di certezza prossimo, se non equivalente, a quello conquistato dalla matematica» (p. 36), l’autore pone subito alcune domande fondamentali nella lettura del testo: le definizioni possono essere considerate delle ipotesi?; l’uso del metodo geometrico può consentire a Spinoza di affermare di aver dimostrato che ciò che pone in definizione corrisponda a verità? Con il terzo capitolo, Su Dio: la sostanza (pp. 49-78), Nadler comincia a analizzare il testo, partendo da una chiara linea interpretativa atta a porre una stretta continuità tra gli intenti dichiarati da Spinoza nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto e l’Etica: «il bene supremo dell’essere umano è la conoscenza di Dio e della Natura. Il progetto principale dell’Etica è di dimostrare in modo certo questa conclusione» (p. 49). Nell’introdurre i concetti di sostanza, attributo e modo, Nadler diviene più specifico, dedicando paragrafi appositi a due proposizioni fondamentali, I, V e I, XI (impossibilità del darsi di più sostanze della stessa essenza e identificazione di Dio con la sostanza unica). L’autore sottolinea come i ‘problemi’ comincino con l’analisi del rapporto tra Dio e le cose singole: cosa significa che tutto ciò che esiste è in Dio? «Come le parti stanno nel tutto che compongono, oppure come un oggetto sta nel suo contenitore, oppure come le proprietà o le qualità appartengono a un soggetto»? (p. 69); la relazione sostanza-modi è una relazione di inerenza? Se così non fosse, come si spiega la causalità immanente posta da Spinoza nella prop. XVIII? Questioni che aprono l’annosa domanda sul presunto panteismo spinoziano: fino a dove si estende l’identificazione tra Dio e Natura? Il capitolo IV, Su Dio: necessità e determinismo (pp. 79-113), analizza le restanti proposizioni della prima parte, concentrandosi particolarmente sulla differenza tra modi infiniti e modi finiti, sul determinismo e sui relativi problemi ‘teologici’ da esso derivanti. Rispetto al capitolo precedente, Nadler si avvale qui di numerosi riferimenti all’epistolario, strumento fondamentale nel decifrare l’opera spinoziana, e introduce il lettore al confronto con Descartes e Leibniz. «Se l’attributo è una natura singola, infinita ed eterna» (p. 95), donde la pluralità delle cose finite? E ancora: a una concezione strettamente deterministica, quasi gerarchica, del cosmo (Dio o Natura, attributi, essenze e leggi eterne di corpi e menti, serie infinita di corpi e menti attualmente esistenti, cose singole) corrisponde uno stretto necessitarismo? E infine: «che cosa intende Spinoza per «Dio»?» (p. 105). Nadler sembra ammettere senza problemi che Spinoza sia «sostanzialmente ateo» (p. 113), tuttavia ciò che sembra realmente interessargli è una precisa, quanto complicata, definizione di cosa si intenda per ‘panteismo’. Terminata l’analisi della prima parte, con il capitolo 5, L’essere umano (pp. 115-144), l’autore passa all’analisi della seconda parte dell’Etica, in cui comincia a delinearsi più chiaramente l’«obiettivo ultimo» dell’opera, la «spiegazione della felicità umana in un universo deterministico» (p. 115), che passa attraverso la domanda su come e cosa possiamo conoscere e in che rapporto siano mente e corpo all’interno della logica del parallelismo. L’ultima parte del capitolo affronta di petto il rapporto con Descartes e con tutti i ‘detrattori del dualismo’. L’allontanamento da quest’ultimo è trattato anche nel capitolo successivo, Conoscenza e volontà (pp. 145-179). Dal momento che «Spinoza crede che conoscenza e intellezione adeguata siano la chiave per la felicità» (p. 146), diviene fondamentale chiedersi come la mente umana percepisca e conosca le cose e come le idee possedute da essa si relazionino a quelle possedute dall’intelletto infinito: «sono cose percepite direttamente e immediatamente o sono percezioni di cose?» (p. 150). La trattazione nadleriana diviene qui particolarmente analitica e dettagliata nel seguire il percorso che porta dalla ridefinizione dell’idea, del suo essere vera o falsa, fino alle forme adeguate della conoscenza e alla sua divisione in generi, mentre poche pagine sono dedicate alla questione della volontà e della libertà. Con il capitolo 7, Le passioni (pp. 181-203), si apre l’ultima sezione dell’opera, quella più schematica, in cui l’autore dedica poche pagine alle tematiche centrali della terza parte (la definizione di conatus, il problema del finalismo, la definizione di ‘emozioni’ e passioni). Analogo discorso può essere fatto per il capitolo 8, La virtù e «l’uomo libero» (pp. 205-238). Con la quarta parte, Spinoza «fa il suo ingresso nel dominio della filosofia morale, intesa nel classico senso di indagine sul benessere dell’uomo e sulla vita buona» (p. 205). Ciò su cui si sofferma l’autore è la necessità di «dare una certa oggettività alla sua definizione di essere umano ideale» (p. 211), questione che apre alcuni quesiti ricorrenti: che ruolo svolge l’exemplar naturae humanae di Spinoza?; tra conoscenza e passioni vi è conflitto?; che cos’è la libertà nell’universo deterministico spinoziano? Le ultime pagine del capitolo sono dedicate al suo pensiero politico e a un rapido confronto con la dottrina hobbesiana. Infine, l’ultimo capitolo, Eternità e beatitudine (pp. 239-264), si concentra sulla quinta parte dell’Etica, dando particolare risalto al ‘problema’ dell’eternità della mente, individuato dall’autore come il passaggio intuitivamente più ostico per un lettore alle prime armi, che, come molti studiosi, può tendere a sottovalutare il legame di Spinoza con il pensiero ebraico. Che cosa si intende per ‘eternità della mente’? Come può essere interpretata alla luce del parallelismo tra mente e corpo della seconda parte? È lecito parlare di valore salvifico della beatitudine? Il testo nadleriano si chiude, apparentemente in maniera un po’ brusca, al termine dell’analisi del testo spinoziano, senza trarre conclusioni. Potrebbe essere individuata in questo la peculiarità del testo. Il lettore più navigato potrà trovare un grosso pregio in questa introduzione: Nadler ci porta all’interno del dibattito su Spinoza nel mondo anglosassone, senza pretendere di imporre la sua posizione (sempre segnalata come personale) al lettore meno esperto. Le molte questioni aperte e i molti passaggi problematici dell’Etica non vengono sciolti dall’interpretazione dell’autore, ma vengono lasciati come tali, sottolineandone la difficoltà intrinseca, confrontandosi con alcune opere fondamentali della storiografia filosofica anglosassone: A Study of Spinoza’s Ethics di Jonathan Bennett, senz’altro il più citato; Behind the Geometrical Method di Edwin Curley; Spinoza and Other Heretics di Yirmiyahu Yovel; Spinoza’s Ethical Theory di Don Garrett; finanche il datato The Philosophy of Spinoza di Henry Austryn Wolfson. L’espediente non solo permette all’autore di non fornire una risposta univoca ai nodi teorici del testo spinoziano, ma fa sì che il lettore possa conoscere lo stato del dibattito in corso (ovviamente fino al 2006): si potrebbe usare come esempio l’ultimo capitolo del testo, in cui Nadler presenta le difficoltà di alcuni studiosi (Bennett su tutti, che arrivò a definire ‘rubbish’ la teoria dell’eternità della mente) nel rapportarsi alla quinta parte dell’Etica. In conclusione, nonostante la presenza di alcune imprecisioni lessicali dovute alla traduzione dall’inglese di alcune espressioni spinoziane (si veda ad esempio la resa di ‘affectus’ con ‘emozione’), il testo risulta utile e interessante sia per un lettore alle prime armi, che potrà confrontarsi con un’introduzione che non abbia la pretesa di sciogliere ogni nodo teorico, sia per un lettore più esperto, che potrà trarre giovamento dalla ricostruzione del dibattito in corso sull’Etica nel mondo anglosassone.
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