Compendio di grammatica della lingua ebraica: nuova traduzione.
Un piccolo saggio di Spinoza concernente la grammatica della lingua ebraica chiude le Opera Posthuma, pubblicate dagli amici nel 1677 a pochi mesi dalla moete del Filosofo. Il Compendium grammatices linguae Hebraeae fu scritto solamente in latino (non sono mai state trovate traduzioni autografe in nederlandese) presumibilmente prima o addirittura durante la stesura del Trattato Teologico-Politico ed è pervenuto solamente nelle parti dedicate alla fonetica e alla morfologia, mancando della sintassi. Come giustamente detto nella introduzione di Pina Totaro e ripreso da Massimo Gargiulo nella sua nuova traduzione del Compendio di grammatica della lingua ebraica (Leo S. Olschki editore, 2013), si dimostra l’intento da parte di Spinoza non tanto di un ennesimo libro che mostrasse la lingua ebraica per interpretare la Torah quanto presentare una lingua a chi di ebraico non masticasse affatto e soprattutto offrire la visuale di una lingua viva, attuale. In questo testo latino (ma sono frequenti anche citazioni dal greco) viene proposta la lingua ebraica attraverso la fonetica e conseguentemente il sostantivo e le sue articolazioni; proprio dal sottolineare l’importanza di spiegare le lettere, l’alfabeto, sta l’intento di Spinoza nel riservare ad un pubblico non ebreo, o comunque digiuno, la lingua ebraica e lo fa affiancando sempre la trascrizione in caratteri latini: ”Scrivo soltanto per persone che sono versate in altre lingue”, dirà nel Cap. XIII. Offrire una lingua a uso quotidiano si evince da molti passi all’interno del Compendium anche per le molte volte in cui cita forme linguistiche o locuzioni non presenti nella Bibbia, anche ricorrendo all’analogia, utile strumento per spiegare i mutamenti di una lingua che altrimenti sarebbe morta. I termini ebraici e le citazioni del Compendium sono diversi da quelli che si possono trovare nel Trattato: nel primo vengono proposti nella versione masoretica, cioè con i punti indicanti le vocali mentre nel secondo appaiono nell’ebraico non vocalizzato. Spinoza aveva nella sua biblioteca personale il Thesaurus grammaticus linguae Hebraeae di Johannes Buxtorf e della grammatica di Elia Levita, nonché molti altri testi a riguardo ivi compresa il volume di concordanze bibliche di Nathan ben Jechiel. Come giustamente detto da Pina Totaro nel paragrafo riguardante appunto la biblioteca privata di Spinoza, il redigere una grammatica della lingua ebraica “non può essere disgiunto dall’impianto generale delle altre sue opere”: l’ebraico non era da lui ritenuto lingua sacra e neppure l’unico strumento per la critica della parola sacra contenuta nella Bibbia. Sacra è semmai la ragione, attraverso la quale permette a genti di tutto il mondo di cogliere la verità della parola eterna di Dio, anche con i racconti dei profeti e i discorsi degli apostoli: “i libri che insegnano di cose elevate” si trovano anche nelle opere dei Gentili, oltre che degli Ebrei. Spinoza probabilmente non portò a termine volutamente la parte dedicata alla sintassi forse perché il successo ma anche la pericolosità nell’aver pubblicato il Trattato Teologico-Politico avevano esaurito il senso di una opera del genere; i continui attacchi e le censure indissero l’Autore a rinunciare. Ecco quindi che si comprende la finalità di un’opera come il Compendium, probabilmente preparatoria al senso del Trattato Teologico- Politico il quale mostra il senso della politica anche come applicazione dei principi attestati nelle Scritture e la chiara comprensione di queste attraverso la conoscenza della lingua ebraica viva si può permettere a chiunque di ottenere la virtù. Era chiaro a Spinoza che forse aveva raggiunto il suo intento proprio con il Trattato stesso, opera compiuta e definita (che avrebbe evoluto in senso epistemologico successivamente con l’Etica) e quindi probabilmente a quel punto era inutile proseguire con la seconda parte del Compendium. Una storia presa dalla vita del Colerus narra che Spinoza avrebbe addirittura tradotto per suo conto l’intero Pentateuco per poi bruciarlo poco prima di morire. Gli amici di Spinoza ritennero probabilmente necessario offrire al mondo anche questo piccolo lavoro che tanto minore non fu affatto.
a cura e con introduzione di Pina Totaro,
traduzione di Massimo Gargiulo
Leo S. Olschki editore, 2013 pagg. 204
ISBN 978-88-222-6212-7
Euro 22
(volume realizzato con il contributo del CNR-ILIESI)
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Comments (1)
Ulisse Di Bartolomei
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Dopo l’arrivo di Gesù, i filosofi o creativi etici succedutigli, si sono dovuti confrontare con lui. Per alcuni alleato, per altri neutrale e per altri un ostacolo insormontabile. La storia testimonia che i competitori più acerrimi non ebbero le fortune sperate, ma raccolsero il biasimo dei posteri che dalle loro ambizioni autoreferenziali ereditarono la rovina. Giovanni il Battista e Carlo Marx, edificarono il proprio costrutto delegittimando Gesù e contribuendo al peggiore antisemitismo. Per gli ebrei la morte di Giovanni e la sua successiva santificazione cattolica, fu l'iniziò di una gogna lunga due millenni e il marxismo, reo di aver tentato di “uccidere” il Cristo anche concettualmente, è stato il loro peggiore promotore di immagine. Nel ventesimo secolo il guru coreano Sun Myung Moon è stato l'ultimo rilevante esponente di anticristianesimo globale, proteso nel tentativo di assurgere a fulcro della storia in un'era aspersa di speranze e delusioni e desiderosa di nuovi miti! In questo libro trovate analisi e valutazioni su personaggi che seppur vissuti in momenti storici molto distanti, sono accomunabili nello scopo e nella smisurata ambizione di sostituirsi al Cristo. Un mondo nuovo non può prescindere dallo smussare le discordie ideologiche alla base del travagliato convivio attuale, dove il significato esistenziale e la felicità raggiungibile, continuano a dipendere da obsolete precondizioni che inibiscono qualsivoglia esito soddisfacente. Edizione Giugno 2014
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